Emiliano Tufano descrive così questo straordinario spettacolo archeologico e naturalistico:
“Lungo la costa nord-occidentale dell’isola di Levanzo, la più piccola, ma non la meno incantevole delle Egadi, il navigante attento, sollevando gli occhi ad un altezza di circa trenta metri sulle alte e ripide pareti calcaree che gli si ergono di fronte, può scorgere la Grotta del Genovese. L’antro di formazione carsica si affaccia su una piccola cala eponima, ed è contornato, venendone quasi nascosto, dalla vegetazione tipica della macchia mediterranea, posizionandosi in uno scenario di grande suggestione paesaggistica.
Il carsismo ha procurato alla grotta una morfologia molto articolata, difatti essa è composta da un’ampia camera d’ingresso comunemente definita “antegrotta”, dalla quale si accede tramite uno stretto e basso cunicolo ad una camera interna meno alta e più lunga detta “retrogrotta”.
L’antegrotta conserva i resti di una fornace per la fabbricazione della calce risalente ad età tardo medievale ed, in epoche recenti, era utilizzata dai contadini dell’isola come stalla e ricovero per attrezzi agricoli. Il retrogrotta, che custodisce al suo interno trentatrè figure incise ed un centinaio di figure dipinte definibili, senza incorrere in alcuna forzatura, la più ricca eredità italiana di espressività figurata preistorica, era invece inesplorato. Noto agli isolani solo come ottima postazione di caccia, in cui mai nessuno era penetrato tranne qualche furetto occasionalmente introdottovi per stanare i conigli.
Tra i levanzari, però, circolavano voci circa la presenza di “iscrizioni” nella camera oscura, probabilmente l’eco del remoto racconto di un esploratore inconsapevole di essersi imbattuto in raffigurazioni preistoriche di cotanta importanza. La scoperta e la divulgazione dello straordinario patrimonio di raffigurazioni parietali della camera interna risale al 1949, quando Francesca Minellono, una pittrice fiorentina che trascorreva un breve periodo di vacanza sull’isola, venendo a conoscenza delle voci di cui sopra, spinta dalla curiosità, motore di ogni grande scoperta dell’uomo si infilò, trascinandosi faticosamente sul ventre, nell’angusto cunicolo. Del sorprendente rinvenimento furono nell’ordine informati il prof. Paolo Graziosi dell’Istituto di Paletnologia Umana dell’Università di Firenze, e la soprintendente per le antichità della Sicilia Occidentale Jole Bovio Marconi.
Non passò dunque troppo tempo perché a Levanzo si attivassero le prime ricerche a carattere scientifico: furono eseguite le riproduzioni su lucido delle rappresentazioni parietali, si effettuarono alcuni scavi stratigrafici, nonché una serie di esplorazioni archeologiche in molte grotte della stessa isola e della vicina Favignana.
Tratto dal sito: http://www.grottadelgenovese.it
Testi di Emiliano Tufano